Il suo nome per intero è Juary Jorge dos Santos Filho. Appena arrivato in Italia, però, ebbe un lavoro di potatura che lo portò a diventare un più comodo e praticabile Juary. L'attaccante brasiliano che danzava intorno alla bandierina ogni qualvolta gli riusciva di spingere la sfera oltre la linea bianca delle altrui porte ebbe, tra le sue esperienze italiane, anche un passaggio alla Cremonese dove ebbe modo di farsi notare pur non segnando moltissimo. Il ripercorrimento della sua biografia calcistica porta anche a constatare come abbia anche varcato quel confine per approdare persino, sia pur in una sola occasione, al mondo della musica.
Gli esordi in Brasile, poi il viaggio per il Messico
A intuire che Juary potesse dire qualcosa di importante al mondo del calcio fu il Santos, la squadra -famiglia di uno "sconosciuto" chiamato Edson Arantes do Nascimiento universalmente noto come Pelè. L'attaccante nativo di Sao Joao de Meriti vi approda all'età di diciassette anni, ovvero nel 1976, e vi lascia un'impronta robusta di 41 presenze e diciotto reti. E, con la squadra bianconera, partecipò anche alla partita che avrebbe segnato il congedo di Pelè dall'universo del calcio giocato. Juary è notato anche oltreconfine e in particolare si accorge di lui il Tecos di Guadalajara in Messico dove resta una sola stagione scendendo in campo in venticunque occasioni e andando a bersaglio in cinque.
L'approdo in Italia
A spalancargli le porte del calcio italiano provvede l'Avellino del vulcanico presidente Antonio Sibilia e allora frequentatore dei campi della massima serie. I tifosi lo prendono subito sotto la loro ala protettiva tributandogli simpatia per due ragioni: la prima fu la sua capacità di segnalarsi come goleador di valore mettendo a segno tredici gol in trentaquattro partite, la seconda fu quel suo curioso modo di danzare intorno alla bandierina ogni volta che il giochetto gli riusciva alla perfezione. Dell'origine di quella sua abitudine avrà modo di spiegare in un'intervista che "al primo gol segnato volevo fare un gesto inconsueto e significativo e ho pensato a questo per vedere poi cosa succedesse". E successe che quel costume fu accolto con simpatia, come una piacevole bizzarria che avrebbe poi preso per abitudine. Con gli irpini, tra il 1980 e il 1982, anche grazie alle sue impronte realizzative, riesce a raggiungere l'ottavo posto in massima serie. Era del resto un Avellino nel quale figuravano, tra gli altri, Stefano Tacconi e Beniamino Vignola che avrebbero poi raggiunto alti palcoscenici, tra cui la Juventus. Di quell'esperienza Juary racconterà che fu "la svolta della mia vita" definendo Sibilia "il mio secondo papà"-
L'avventura con l'Inter
Il periodo avellinese di Juary non passa inosservato. L'Inter fa un paio di valutazioni e conclude: è l'uomo che fa al caso nostro. Detto e fatto. Nel 1982 sbarca infatti in nerazzurro dove rimarrà sino al 1984 e lascerà un'eredità di ventuno presenze e due reti. Pochine, rispetto alle attese. Il brasiliano sente d'altro canto la pressione comportata dalle ambizioni di un grande club e comprende che in una realtà provinciale ci si possa esprimere con meno patemi e assilli. E ammetterà che l'annata all'ombra della Madonnina fu "un periodo difficile di cui mi vorrei dimenticare".
Il proseguimento dell'esperienza italiana con Ascoli e Cremonese
Quando l'Ascoli di un altro presidente vulcanico come Costantino Rozzi lo chiama, Juary vi va di corsa. Il suo bilancio realizzativo con i marchigiani migliora leggermente con cinque reti messe a segno in ventisette gare. Dopo l'esperienza con bianconeri, eccolo sbarcare all'ombra del Torrazzo per dare una mano all'attacco grigiorosso. Scende in campo diciannove volte e realizza due reti, anche in questo caso un andamento non proprio esaltante per uno che di mestiere fa l'attaccante ma comunque sufficiente ad assicurargli un po' di simpatia e stima.
L'ultimo periodo sul rettangolo verde all'estero
L'esperienza con la Cremonese segnerà il congedo di Juary dal calcio italiano giocato. Passò infatti in terra lusitana con il Porto dove realizzò undici reti in quaranta partite ritrovando una vivacità realizzativa che sembrava avere un po' smarrito, poi venne il ritorno in Brasile con i colori di Portuguesa, squadra di cui fece parte anche il compianto straniero del Bologna Eneas de Camargo, scomparso a soli trentaquattro anni per le conseguenze di un tragico incidente stradale, Santos, una sorta di ritorno al primo amore, Moto Club e Vitoria ES e infine la decisione di appendere le scarpe al chiodo. Juary ebbe modo anche di incrociare, anche se per sole due occasioni, la nazionale brasiliana nel 1979. Un bilancio esiguo ma in cui occorre annoverare anche la conquista della medaglia di bronzo nella Copa America.
La sua seconda vita di allenatore
L'Italia lasciata una ventina d'anni prima da calciatore la ritrovò da allenatore assumendo la conduzione tecnica della Berretti dell'Avellino, cui sarebbero poi seguite le esperienze con le pari formazioni di Potenza e Napoli. Poi fu il tempo delle esperienze all'estero con Porto e Montoro. L'Italia, però, gli rimase nel cuore tanto che vi tornò come tecnico delle giovanili del Banzi in Basilicata. Successivamente si sedette sulla panchina in qualità di allenatore della prima squadra di Aversa Normanna e Sestri Levante.
Juary a dodici note
Juary ebbe modo di cimentarsi anche come cantante interpretando il quarantacinque giri intitolato "Sarà così", brano scritto per lui da Giacomo Simonelli ed Emilio Iarrusso. La ricanterà in un commosso messaggio alla realtà di Avellino durante il Covid per esprimere il suo affetto e sostegno alla città irpina in quel difficile momento: "è un momento difficile lo so - disse in lacrime - ma dobbiamo tutti reagire".
L'apertura di scuole calcio
Juary non ha mai abbandonato il mondo del calcio e si è dedicato anche all'apertura di alcune scuole dove ha potuto anche dare spazio a talenti emergenti. "Il calcio - disse in un'intervista- è fatto di momenti, si possono avere anche momenti di difficoltà ma è un mondo che ti dà anche la possibilità di creare legami profondi".
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